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TEATRO PERIFERICO

Giulietta e la follia del mal d'amore
Un salotto d'oro pieno di crepe e un esercito di invasori circondano una donna sola, infelice, in attesa di un dio che non arriva mai

giulietta BRESSO - Giulietta è una signora borghese, sposata con Giorgio, ma il loro è un matrimonio ormai di facciata: lui nasconde un tradimento e lei non sembra accorgersene. Quando lo scopre, tutto il mondo le crolla addosso.
Cominciano una serie di esperienze umilianti: l'assunzione di un investigatore per cercare le prove del tradimento, il tentativo di divenire più attraente nella speranza di riconquistare il marito, la ricerca di un altro uomo con cui dimenticare, il pianto, l'insonnia, l'umiliazione di immaginarsi gli amanti nell'atto. Giulietta affronta tutte queste prove come una donna bambina, sperduta in un vortice che non riesce più a controllare; gli spiriti (la Santa della graticola, Olaf, l'Annegata, Iris, Casanova, l'Eremita), amici invisibili a cui si affida sin dall'infanzia, più che aiutarla la confondono. Chiusa nella gabbia dorata che la tiene prigioniera, ma che lei ama e sente come sua, Giulietta si offre impudicamente allo spettatore, mentre affoga nel suo allagamento emotivo e autolesionista, raccontandosi con amarezza, ma anche con autoironia, diventando così inconsapevolmente moderna e reattiva.
Con Giulietta di Federico Fellini, interpretato da Elisa Canfora, regia di Paola Mandredi, Teatro Periferico prosegue nella sua ricerca tesa a disegnare caratteri. In questo caso, una donna gelosa, folle, sola, infelice, ingessata nella sua candida camicia da notte, che si spalma uova e cetrioli sulla faccia, lava pavimenti fino allo sfinimento, aspettando un dio che non arriva mai.
Chiusa in un salotto d'oro pieno di crepe, assediata da un esercito d'invasori che circondano la sua casa, Giulietta si pone una domanda che molte donne nella sua condizione si sono fatte: "Davvero si può morir d'amore?".
"Quello che cerco di fare nei miei spettacoli" dice la regista Paola Manfredi, "è mettere in scena personaggi, azioni, gesti, voci, che agiscano contemporaneamente e che, relazionandosi tra loro, possano offrire allo spettatore una serie di impulsi apparentemente contraddittori.
Il risultato è una rottura della linearità, che costringe lo spettatore ad assumere, da subito, uno stato di coscienza vigile, costantemente critica e attiva. Cerco sempre un modo di fare "ironia teatralizzata".
Non si tratta semplicemente di fare dell'ironia: il teatro può, certo, includere l'ironia (un personaggio per esempio dice una battuta ironica), ma ciò che io cerco è una "teatralizzazione ironica" che si avvale di tecniche e di materiali (corpi) squisitamente teatrali; il tutto finisce così per assumere una forma quasi parodistica, che però parodia non è, ma, appunto, ironia.
Le condizioni che descrivo e le storie da cui parto sono importanti, e proprio per questo tendo a "banalizzarle", cioè a renderle irrisorie, risibili, con lo scopo di affermarle, metterle in primo piano, farle protagoniste di tutta l'opera.
Il processo che fa la persona ironica, infatti, è proprio quello di banalizzare qualcosa che si impone come complesso, austero e altisonante.
È una forma psicologico-visiva, forse involontaria, che non si prefigge di indurre al riso, ma di sensibilizzare alle problematiche che sono oggetto della teatralizzazione, e di renderle in qualche modo più analizzabili e comprensibili.
I personaggi, per questa ragione, sono completamente de-eroicizzati (e de-erotizzati), resi marionette ironiche, grottesche e parlanti, che disegnano affreschi allegorici del quotidiano da cui emerge la contraddittorietà di comportamenti drammaticamente complessi.
Il teatro non è rappresentazione di un'idea precostituita, ma il luogo dove il corpo è, più di ogni altra cosa, segno di se stesso, testimone di se stesso e come tale non può che mettere in scena la sua contraddittorietà, la sua inadeguatezza, in rapporto alla complessità marcescente della vita, e contemporaneamente la sua isterica, ironica e onirica vitalità.
In un processo siffatto, gli attori diventano il necessario arché di ogni riflessione estetica, i loro corpi, la loro indole e personalità si trasformano in materia corporea dalla quale partire per scoprire e fissare, sempre di più e sempre meglio, quella maschera grottesca o patetica, simbolica, non dogmatica ma aperta, umoristica e dissacrante, che li accompagnerà nel corso degli anni.
Giulietta è una di queste maschere indossate da un'attrice, che dialoga costantemente con il personaggio che interpreta".

www.teatroperiferico.it


In alto Elisa Canfora - Giulietta


La Redazione
(18 settembre 2010)



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