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WIA 2011 - INCONTRI STRAORDINARI

Milo De Angelis, e il tramare invisibile della vita
Sabato 10 settembre alle ore 18.30 allo Spazio Arte di Sesto San Giovanni incontro con il grande poeta Milo De Angelis, che presenterà la sua ultima silloge Quell'andarsene nel buio dei cortili. Un'occasione unica per conoscere da vicino una delle voci più alte della poesia contemporanea, e ascoltare passi della sua opera letti dall'attrice Viviana Nicodemo.

Copertina SESTO SAN GIOVANNI - Finale d'assedio è il primo capitolo, drammatico e perentorio, della nuova raccolta poetica di Milo De Angelis.
Come un continuum o un "romanzo" a capitoli ("Capitoli di un romanzo"), Milo riprende il discorso là dove lo aveva lasciato, per seguire come sempre, non una direzione rettilinea e progressiva, ma un excursus che sparpaglia le carte e le riordina seguendo una sua topografia: precisa, di fedeltà a se stesso e alla "parola data". "Poi / la parola che presenta se stessa, / l'interminabile parola data".
Come su un palinsesto, senza cancellare nulla della scrittura precedente, il poeta riprende il foglio là dove si era interrotto, per seguire le tracce di tutto ciò che non può andare disperso. "E' così. / La memoria / di un uomo era solamente questa / manciata di sillabe. Solo loro / ritornano dalle oscure cantine".
Libro della memoria contrapposta all'oblio, libro dell'inizio che coincide con la fine, libro sulla temporalità, la contingenza e l'assoluto, questa nuova raccolta di De Angelis colpisce per la palese trama composta da poche, essenziali polarità tematiche: morte e vita; spazio-tempo; interno-esterno; vicino-lontano ("la casa si allontana dai soggiorni"); tutto-niente ("la vita era immensa / oppure niente"), incertezza-evidenza; suono-silenzio; pieno-vuoto. "La vita, con il suo / perno smarrito, galleggia incerta"; "E' questa / la meta misteriosa / di ciò che vive?"; e all'opposto nella stessa poesia: "Dove batte / il cuore dei perduti?", "tutto / è consegnato all'evidenza / della fine".
Pagine dove al vuoto, al niente, al silenzio, al mutismo e al buio si contrappongono la luce, la vita, l'amore, il "respiro", il soffio vitale, il suono, le "sillabe" e la scrittura.
Libro di forti contrapposizioni tra il tempo e l'eterno, tra il passato, l'arché, l'inizio e il tèlos, il fine (l'esito, la fine), promette lo scioglimento di un dramma, la sua chiusura, la descrizione della fase terminale, l'epilogo e la fine dell'Assedio.
Ma chi sono gli assediati? Quale fortificazione, quale fortezza è stata assediata? Chi l'ha circondata, chi ha cinto l'assedio? E perché?
Il libro risponderà a tutti i quesiti trasportandoci dentro l'isolamento dell'assedio, dentro quel vuoto dove non è più possibile comunicare o ricevere aiuto.
Ci svelerà passo passo, verso per verso, poesia per poesia, con sincerità ed estremo pudore chi sia quella cittadella interiore assediata, quale l'intimità ferita, perduta, assente.
Quale sia il peso del trincerarsi dentro la stanza sigillata del silenzio e della solitudine per sostenere l'assedio.
Ci parlerà di una morte che assedia, di perdite come una grande ombra buia che sovrasta. Di macerie e di rinascita. "L'inizio è stato questo, tra le rovine / e la ruota della fortuna".
Il poeta ci trasporterà dentro quella "casa", in una "stanza" che è la prigione del dolore, dentro le "foibe" del silenzio, in una "trincea" dove è inchiodato ad un'esistenza smarrita, fin dentro le più "oscure cantine".
"E' possibile portare soccorso agli assediati. E' possibile capire l'estate" era il titolo di una bellissima poesia di "Distante un padre" del 1989.
Dopo molti anni questa reminiscenza non può che sorprenderci e farci riflettere. Nell'incipit di quel primo verso e nei versi successivi c'era già inconsapevole e predestinata la circolarità ossessiva della sua scrittura: " L'inizio ci assale. Volevamo capirlo / alla velocità dei morti, perdonare / le mani, quando urlano che nessuno / udrà il fruscio di queste biciclette / tra quindici anni o un rovescio di pioggia".
Sono passati più di quindici anni, almeno venti, sono trascorse altre, imprevedibili morti da allora, altri lutti, altre perdite sconosciute, ma le istanze profonde del suo dettato, le premesse di tutto un percorso ancora a-venire, profeticamente, erano già scritte. Già c'era un'estate da capire.
Poi ci sarà un'altra estate moribonda e dello sgomento, quell'estate della grande paura del 2003, quando scriverà le poesie di "Tema dell'addio".
E poi la scorsa estate, del 2009, quando ho ricevuto i primi testi di questo nuovo libro di cui una delle sezioni si intitola "Obbedire all'estate".
"E' mattino, nient'altro", diceva la chiusa della poesia della raccolta dell'89, "Tra poco, a Bari, aprono / le edicole".
La vita ricominciava, affidata e simboleggiata dal semplice evento dell'apertura delle edicole. Anche allora dopo un "crollo", dopo "il medesimo spavento circolare", in un "palcoscenico impazzito sottovoce", "che nemmeno il nostro / più storico ieri potrà recidere".
E' questa la forza della poesia di De Angelis: la persistenza dell'evento. Niente verrà reciso né perso, nessun "ieri".
Per questo l' "inizio ci assale", "alla velocità dei morti", ogni morte è anche inizio e l'inizio coincide con la fine e con il mattino.
Si coglie immediatamente la centralità di un'istanza fondamentale di tutta la sua opera: la persistenza dell'evento, il "sempre di ogni occasione", "il sempre vivo di ogni niente", l'eterno presente che sottrae la realtà allo scorrere del tempo e la fissa nel suo accadere quel "sempre" "che come già sapevamo, "nemmeno il nostro / più storico ieri potrà recidere".
L'assoluto, l'infinito è la memoria di un gesto, di un luogo, di un nome di una breve occasione. "L'infinito appare nel poco, / come l'ultima nota di un grido / mentre si dilegua."
La scrittura, come sempre, è per Milo un registro e un'agenda, un calendario in cui fissa un giorno, una data, alcuni istanti dell'accaduto fino a renderli un racconto esatto, cioè un nucleo eroico che sottratto al tempo storico, diventa evento mitico.
Del mito, come evento esemplare, a Milo non interessa la valenza simbolica né tantomeno i richiami mitici, ma la sua cifra icastica, ovvero la memoria e il rito.
E' la memoria depositata nella compiutezza della scrittura, che permette all'evento di rimanere, di perdurare contro ogni fugacità ed evanescenza dell'esistere.
Ed è la ritualità del gesto (la corsa, l'asticella, il filo teso della pista, il traguardo, le ginocchia frantumate sull'asfalto; i bar, le strade, i citofoni, le tangenziali, le edicole; le sirene, gli ospedali, il mercurio del termometro, il sangue, le vene; le squadre, il drappello, la pattuglia, gli alleati, gli amici...) la quintessenza del mito.
Il "racconto esatto dell'accaduto" secondo un'espressione di Milo, dove quell'esatto contiene tutti i significati del suo concetto di poesia, che è dettato e traduzione, asciuttezza, icasticità, enigmaticità.
D'altronde da Mnemosyne e Zeus nacquero le Muse e da allora mnemosyne è anche canto e danza. Ma di certo questi sono commenti nostri solo intertestuali e tutt'altre sono le intenzionalità di Milo: il "sempre" di ogni occasione.
Quella semiretta di cui ci ha parlato nelle interviste che avviene da una parte sola, che ha inizio nel qui e nell'ora, nel tempo storico della cronaca e dell'evento, e lascia l'altra parte di sé in solitudine alla ricerca dell'eternità e dell'assoluto, silenzioso e sconosciuto.
La precarietà di ogni cosa, di ogni affetto, di ogni accadimento importante condannato all'evanescenza, chiede al poeta di rimanere, ha bisogno di una permanenza, come i morti e le ombre presenti in tante raccolte e ancor più in questa, che continuano a parlargli: "tu eri solo / nella confusione dei morti da capire / e io ero dove tu non guardavi, / nel clamore segreto in cui ritornano".
In questo libro dove appaiono per la prima volta le immagini delle foibe e delle trincee a rendere più drammatico il mutismo e la solitudine dell'assedio, la ripetuta presenza delle "labbra" e del "respiro" acquista una valenza ulteriore.
Ponte tra il cuore e la mente, il respiro è anche il soffio vitale, il venire alla luce, la nascita e l'interiorità, l'anima, psyché.
E le labbra, così vicine al respiro, sono comunicazione, poesia e affettività: la parola, la scrittura, il foglio, la frase ma anche il "bacio senza luce", il mutismo "che non trova il battito del sangue", il vuoto, l'ombra, "l'amore che passa senza suono / tra i corpi nudi / che nessuna ombra custodisce".
La poesia e l'affettività, le labbra, i baci e il respiro sono le porte tra il dentro e il fuori tra la stanza assediata e le strade, i bar come quello di Affori, la vita. " Ma un'ansia ostruita /trovò le sue labbra". Tutto / era nelle parole / portate una alla volta. / Portate a coloro che attendono. / Solo a loro, nelle strettoie dell'urlo"; " tutto è sfuggito.. / . ma la sillaba / che stringeva la gola / è questa.".
Proprio per la direzione circolare e non lineare di tutta la sua opera, non si può mai veramente parlare di cambiamento o di svolta ad ogni nuova uscita di un libro di De Angelis.
Dall'esordio straordinario e giovanissimo di "Somiglianze" del 1976, che lo impose come una delle voci più interessanti e nuove del periodo, agli stretti nessi analogici del teso "Millimetri", alle intense e liriche raccolte di "Terra del viso" e "Distante un padre", fino alla diversa e "mutata" pronuncia di "Biografia sommaria" del 1999, ritenuta la misura di un cambiamento verso una maggiore limpidità, i diversi registri di scrittura di De Angelis oscillano come la partitura musicale di un unico spartito.
I passaggi di tono di Milo, come le Chroai dell'antica musica greca, che subiscono variazioni, modulazioni, diversi andamenti, ma nessuna vera "mutazione" intesa come cambiamento o salto, sono gradazioni tonali: più alte (più tese, impreviste, giustapposte, più concitate, drammatiche e metaforiche come in Distante un padre e Millimetri), più basse (più realistiche, dialogate, prosastiche, meno scarnificate come in Biografia sommaria e Tema dell'addio) ma di un'unica melopea.


In alto la copertina di Quell'andarsene nel buio dei cortili di Milo de Angelis


Isabella Vincentini


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